Regia di Gabriele Vacis. Scenofonia e ambienti di Roberto Tarasco.
Con Andrea Caiazzo, Lucia Raffaella Mariani, Erica Nava, Enrica Rebaudo, Kyara Russo, Edoardo Roti, Letizia Russo, Lorenzo Tombesi, Gabriele Valchera.
Una produzione del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale in collaborazione con PoEM Impresa Sociale.
«Non fare uso del nome del Signore, il tuo Dio, per il falso, perché il Signore non lascia impunito chi, per il falso, fa uso del suo nome.» Esodo 20, 7.
I comandamenti affidati da Dio a Mosè, sul monte Sinai, sono da sempre trasgrediti. Ma, con il potenziarsi delle tecnologie di comunicazione, sembra più indiscriminato l'uso del nome di Dio. Per non parlare delle nostre radici ebraico cristiane. La Trilogia della guerra - Prometeo, Sette a Tebe e Antigone e i suoi fratelli - ha avvicinato PoEM ai testi antichi, alle nostre radici "greche": del resto, siamo tutti greci, diceva Borges. E anche l'Antico Testamento, come lo conosciamo noi viene da quel mondo. Ad Alessandria d'Egitto, nel III secolo avanti Cristo, una settantina di sapienti traducono in greco i primi cinque libri della Bibbia. Sta finendo l'epoca dei tragici ma l'humus culturale è quello, un ambiente di scambi profondi tra la Grecia, l'Egitto, tutto il medio Oriente. Un momento che, innegabilmente, ha fondato il nostro modo di stare al mondo, ha modellato il prima e governato il dopo, e che spesso, senza che ci rendiamo ben conto del come e del perché, fonda le relazioni che abbiamo, le scelte che facciamo, i giudizi che diamo, i diritti che abbiamo, le leggi che rispettiamo.
Nella Trilogia della guerra siamo andati a cercare le ragioni di scelte, giudizi, diritti e leggi che continuano a gettarci nei conflitti. Ho provato a capire come queste antiche parole ci parlino ancora, cosa hanno da dire a dei giovani di questo millennio. A quel punto è stato naturale continuare il lavoro sull'altro grande serbatoio di antiche scritture: i libri sacri. Così abbiamo pensato ancora ad una trilogia che porterà in scena l'Antico Testamento nel 2025, il Nuovo Testamento nel 2026 e il Corano nel 2027.
Quindi abbiamo cominciato a leggere l'Antico Testamento. Per alcuni dei ragazzi di PoEM era la prima volta. Ma non è stato difficile appassionarsi alle storie della creazione e dei patriarchi. Quello che si è capito subito è che i primi cinque libri della Bibbia, che sono più o meno uguali alla Torah, raccontano la creazione come separazione. Dio è quello che separa il cielo dalla terra, le acque dall'asciutto, il buio dalla luce. Poi racconta una migrazione, come se l'esodo fosse l'elemento costitutivo di una patria. terzo grande tema è la costruzione di un popolo, di una grande famiglia. "Dio, patria, famiglia" è diventato, sotto certi aspetti, il sottotitolo dello spettacolo che stiamo costruendo. Cosa ci dicono veramente i libri sacri su questi grandi temi? Come usciamo dalle secche delle banalizzazioni, delle volgarizzazioni e delle strumentalizzazioni che delle parole, quelle antiche come quelle attuali, fanno le tecnologie di comunicazione?
Dalla lettura del Pentateuco, da un po' di anni faccio così: estraggo domande che pongo agli attori. Queste richiedono come risposta storie piuttosto che opinioni. Non chiedo: «secondo te come dovrebbe essere l'Eden?», ma «quando sei stata, quando sei stato, nell'Eden?». Non chiedo: «è giusto che creare significhi separare?», ma: «quando hai vissuto una separazione? Cosa è nato da quella separazione?». Non chiedo: «è giusto accogliere i migranti?», ma: «quando hai affrontato una migrazione?». Rispondendo a domande come queste, gli attori raccontano vicende personali, che poi vengono riprese, intrecciate, contraffatte e generano una drammaturgia che ha a che fare noi, con me che sono nato quand'è nata la televisione e ho cominciato ad usare il computer a trent'anni e una dozzina di ragazze e ragazzi che sono nati solo qualche anno prima di Facebook, che infatti, per loro, è roba vecchia. L'esito è sempre sorprendente. E un modo per liberarsi da pregiudizi e cliché, da conformismi che ci spingono a far uso del nome di Dio per il falso.
Note di Gabriele Vacis.
Bibbia, nome delle sante Scritture cristiane, deriva dal greco tà biblía, "i libri", ed è un libro di libri, una biblioteca. La pluralità di libri è anche pluralità di lingue e di influssi culturali disparati presenti in essa. La Bibbia è una realizzazione multiculturale e per questo è cultura, nel senso che è un prodotto culturale, un testo, un tessuto di fili culturali provenienti da diverse origini, Mesopotamia, Egitto, Grecia, Medio Oriente.
Ma è anche un potente repertorio di immagini e simboli che ha creato cultura, ha creato linguaggio, ha ispirato arte e letteratura. Non a caso, la Bibbia è stata definita il "grande codice" della cultura occidentale.
La pièce teatrale Antico Testamento è il risultato di una feconda intuizione: affidare a dei giovani la rilettura e l'interpretazione di alcuni tra i più noti e significativi racconti biblici nella cultura contemporanea, negli eventi e nei luoghi della vita. Portare la Bibbia a teatro e farla vivere nell'oggi di ciascuno è un luminoso atto di cultura, è un'opera dell'arte.
Note di Enzo Bianchi.
Il teatro, luogo di parola, musica e gesto, scopre l'Antico Testamento. L'idea non è nuova, l'ha fatto il cinema presentandoci il re David in molti modi, Mosè e i dieci comandamenti e donne belle, coraggiose, miti o spregiudicate come Dalila. In quel grande contenitore di parole e gesti che è l'Antico Testamento, molti si sono cimentati per scoprire un nuovo senso in parole scritte secoli fa in ambienti e climi assai diversi e raccontare il dialogo tra Dio e lo scorrere degli eventi, tra uomini e uomini, tra Dio e gli uomini.
Gabriele Vacis e i suoi ragazzi s'immergono in questo pozzo di parole originate, pensate, vissute e scritte in ambienti aridi e spogli, abitati da tribù con una storia propria. Tribù che devono confrontarsi con gli Ebrei: popolo che si ritiene prediletto da Dio e da Lui condotto al possesso di una terra.
Quando il regista e autore, dopo aver messo in scena Trilogia della guerra, Novecento, Risveglio di primavera dice che affronterà questo testo sacro e ne tara oggetto di riflessione, apre un panorama di congetture. Che ne farà? L'Antico Testamento chiama in causa narratori, poeti e profeti, è stato chiuso in cassaforte fino alla seconda metà del secolo scorso, quando il Concilio Vaticano II finalmente apre il forziere sacro e lo consegna a chi lo vuole leggere, accogliendo Storia e Storie.
La risonanza esplode dall'impronta originaria e diventa parola, attraversando secoli e mutamenti. Il segno ebraico cambia, trasforma in segni greci, latini e in tanti, tanti altri linguaggi vicende e messaggi che sono falsariga su cui sta scritto il presente. L'introduzione che Vacis dà al lavoro accenna al cammino della Parola negli sforzi di fedeltà all'impronta primitiva mentre incontra altri modi di relazione e di espressione.
Le parole del Libro attraversano mondi e tempi e mostrano il bisogno di senso di cui l'essere umano è invaso ma se alcune vicende sono storiche, accadute millenni fa, il confronto con la realtà ce ne mostra l'attualità in modo chiarissimo. L'interdetto solenne all'abuso del nome di Dio viene spudoratamente superato per dar forza a guerre di conquista, a poteri finanziari, a progetti politici: le parole del Decalogo, legame forte stabilito da Dio per guidare il cammino dell'uomo, sono bandierine, sono come spray che copre menzogne di faccendieri della storia.
La narrazione della confusione delle lingue presso la torre di Babele che i ragazzi di PoEm, diretti da Vacis, mettono in scena è tragica. L'intrecciarsi di tutte le lingue nello stesso tempo, allo scopo di raggiungere il cielo, è matrice e specchio delle chiacchiere di opinionisti vari, tutti tesi a narrare il nulla personale, dando voce al vuoto di senso, tanto più profondo quanto più alto è il vociare. E storie di esodi, di migrazioni e sradicamenti, di schiavitù, di mistificazioni pregiudiziali, pietre miliari che testimoniano il difficile cammino dell'uomo attraverso i secoli. Il nostro andare, oggi.
Questo primo, drammatico studio sull'Antico Testamento lascia aperta la porta e stimola un pensiero: dovremo accontentarci di questa riflessione tra antico e presente? Il Libro nella sua indicibile complessità da tanto spazio ai Profeti che castigano l'allontanarsi e il mistificarsi del Decalogo. Il futuro ci riserva profeti capaci di mostrare con le parole e con simboli nuovi che la storia può cambiare. Questo lo rivedremo forse nello studio sul Nuovo Testamento che Vacis e PoEm promettono di darci: domani.
Note di Suor Giuliana Galli.
Un punto di partenza per questo spettacolo è stato “À la vie”, un documentario di Aude Pépin del 2021. Il film racconta di un’ostetrica che ha speso la vita a difendere i diritti delle donne e che, ormai in pensione, si dedica alla causa in un altro modo: segue le madri quando escono dall’ospedale, dopo avere partorito. Il nostro mondo prevede istituzioni che gestiscono le fasi acute dei problemi. Magari non sono perfette ma sono: abbiamo le carceri per la detenzione e gli ospedali per la malattia. Ma non abbiamo i luoghi della cura. Cosa succede ad un detenuto che ha scontato la propria pena quando torna nel mondo dopo decenni di reclusione? Cosa succede ad una donna quando torna a casa dopo il primo figlio? Chantal Birman, così si chiama l’ostetrica di “À la vie”, insegna alle madri ad allattare, a medicarsi, le tranquillizza quando hanno paura che il bambino si faccia male mentre loro riposano, mentre il compagno è fuori città per lavoro. Fa quello che un tempo facevano le madri, le nonne, le zie, le vicine di casa. Quando ero piccolo giocavamo in giardino. Le nostre mamme chiacchieravano sedute alla porta del condominio e sorvegliavano. Eravamo in otto e sto parlando degli anni tra il 2005 e il 2010, quando le relazioni sociali erano già pesantemente compromesse. Ma ancora non crescevamo da soli. Adesso in quel condominio bambini non ce ne sono più. Il nostro mondo è sempre più vecchio: in Italia, per ogni bambino si contano 5,8 anziani (nel 2022 erano 5,6 e 3,8 nel 2011). Il lavoro dei giovani non si paga più, quindi ragazze e ragazzi contano sullo stipendio dei genitori e sulla pensione dei nonni. Il rapporto tra le generazioni è strumentale. Non è più passaggio di saperi: chi insegna, per esempio, ai giovani insegnanti ad insegnare? Le comunità le abbiamo fatte a pezzi, così viviamo nella convinzione che l’inquilino del piano di sotto viene a chiederti un po’ di zucchero, mentre tu ti guardi l’ultima puntata di Baby Reindeer, con l’intenzione di squartarti.
Cosa c’entra tutto questo con l’Antico Testamento? C’entra, perché l’Antico Testamento è la storia della creazione di un popolo e la costituzione di leggi, miti e narrazioni volte a gestire economicamente, strutturalmente, politicamente quel popolo. Per fare un popolo, prima di tutto ci vogliono i figli. Io ho venticinque anni, come la maggior parte di noi PoEM, è l’età in cui mia madre ha avuto mio fratello. Sarebbe ora che me ne occupassi (e me ne occuperei anche, se non fossi omosessuale e questo sogno non venisse considerato una minaccia da chi governa). Leggendo la Bibbia ci siamo resi conto che il popolo di Dio è un popolo di migranti, un popolo queer. E dico questo non per banalizzare, per ridicolizzare e tanto meno per provocare, al contrario. È che siamo presi in mezzo: da una parte c’è chi vuole costruire il popolo di Dio difendendo i confini e istituendo reati universali per imporre i propri modelli di vita, dall’altra parte c’è la Bibbia, che ci racconta storie di donne prese in prestito, di nipoti e schiavi adottati come figli, di stranieri-angeli alla porta. Ci dice che la natura umana è complessa, che un’universalità non c’è e non può esserci, anzi, che siamo fatti di eccezioni, che sbagliamo, che non siamo e non saremo all’altezza - che non saper rinunciare alla presunzione folle e arrogante di volere assomigliare a Dio è un abominio. Per questo è urgente tornare a interrogare quelle parole, con o senza fede, scuoterle e ripulirle dalla polvere dei millenni: è un antidoto al regime dell’infocrazia, e forse, una possibilità di salvezza.
Note di Lorenzo Tombesi.